Mai come in questo tempo è doveroso riflettere sul proprio operato, sulla propria professionalità e attitudine.
A volte diamo per scontato che un cliente che non commenta, non si lamenta, non urla per un disservizio, sia un cliente ingenuo o remissivo.
Io stessa sono una persona che attende con pacata pazienza che due camerieri finiscano di parlare dei risultati della serie A prima di ricevere attenzione, che si aspetta un saluto mentre entra o esce da un locale, che tollera di essere considerata un numero in attesa di un servizio.
Penserete che io sia un cliente accomodante, malleabile, condiscendente... Vi sbagliate: io sono il cliente che non tornerà mai più!
Trovo assurdo che aziende, imprese ed enti investano somme ingenti per la miglior strategia di marketing, per apparire accattivanti e seducenti sui social e non considerino la formazione e la gratificazione della loro miglior risorsa commerciale: il personale.
Un servizio impeccabile, che faccia vivere un’esperienza positiva al cliente diventa la miglior fonte di guadagno senza costi aggiuntivi, perché il costo delle risorse umane non cambia se tali risorse agiscono come semplici “lavoratori“ piuttosto che come parte integrante dell’azienda operando con “valore aggiunto“.
A volte basta poco per far sì che non sia “l’ultima volta“: cortesia, capacità di ascoltare, sorridere, dimostrare interesse e coinvolgimento nel vendere un prodotto o nel erogare un servizio.
E’ importante investire e dedicare tempo per capire se l’immagine di un’azienda è coerente in ogni ambito o se i dipendenti privilegiano l’auto affermazione e le nevrosi alle regole di servizio.
Indipendentemente dalla soddisfazione economica o sociale all’interno di un’azienda c’è una regola fondamentale da imparare e scrivere di ogni contratto d’assunzione: “C’è solo un capo: il cliente. E può licenziare tutte le persone dell’azienda, dal presidente al magazziniere, semplicemente non tornando più.“